La mia Palma d'oro in anticipo
Le proiezioni sono appena iniziate, ma tra i 22 film in concorso a Cannes ce n'è uno che merita più fiducia degli altri.
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La mia Palma d’oro in anticipo.
Diciamocelo, valutare i film dopo averli visti è troppo facile. Il lusso della competenza, vera o presunta, sta tutto nella capacità di preselezione dei prodotti.
Se fossi nella giuria di Cannes 2025, alla prima riunione chiederei quindi due cose alla presidente della giuria Juliette Binoche:
se posso sedermi accanto al giurato Halle Berry
se non è il caso di andare tutti in spiaggia per 10 giorni, dato che in fondo basta leggere le sinossi distribuite delle produzioni per individuare il vincitore.
Rifletteteci: quando la sinossi fatta girare dalla produzione di un film in concorso non suscita nel lettore la minima curiosità, ci sono due possibilità:
la produzione non sa scrivere una sinossi (e allora difficilmente sarà in grado di produrre un film capolavoro)
la sinossi è mediocre perché l’idea di base del film è debole. E allora nessuna maestria autoriale o attoriale riuscirà a capovolgere le sorti di una scommessa persa in partenza.
Ok, forse sono stato un po’ troppo tranchant. Ci sono senz’altro delle eccezioni. Alcune brutte sinossi da festival nascondono in realtà dei bellissimi film. In fondo quei film sono stati selezionati per andare a Cannes, non possono essere tutti mediocri.
Però la sinossi offre molti indizi all’osservatore attento, perché descrive in qualche modo l’idea centrale del film, e la scelta dell’idea centrale è la prima e fondamentale scelta di scrittura. E la scrittura è il cuore di ogni film.
I film in concorso a Cannes quest’anno sono ventidue. Tra questi film ci sono autori vincitori di passate edizioni (Dardenne, Ducournau), c’è il film con Joaquim Phoenix che fa lo sceriffo, quello con Jennifer Lawrence in depressione post-parto, ci sono autori come Wes Anderson che hanno un loro pubblico fedele e curioso a prescindere. Questi fattori alzano le aspettative, ma sono dettagli che possono soltanto aggiungersi - non sostituirsi - alla qualità della sceneggiatura.
Facciamo un esempio. Personalmente, ho una certa stima di Richard Linklater e (come il 90% di chi si occupa di cinema in qualsiasi veste) provo un affetto quasi infantile per A bout de souffle (Fino all’ultimo respiro) di Jean-Luc Godard. Di conseguenza, vedrò molto volentieri il film di Linklater sulla lavorazione di A bout de souffle, girato (si dice) alla maniera di Godard. Ma tutte queste informazioni (l’autore del film, l’ambientazione affascinante, lo stile citazionista) mi dicono poco della qualità drammatica dell’opera. Qual è il conflitto al centro della storia? L’impresa godardiana di girare un film stilisticamente rivoluzionario?
Non so, diciamo che sospendo il giudizio. Le poche informazioni diffuse non bastano a farmi saltare sulla sedia. Il titolo (“Nouvelle Vague”) è un tantino banale. Vedremo. Gli do fiducia, ma non lo promuovo in anticipo.
Scorrendo le ventidue sinossi, alcune mi fanno addormentare, altre mi fanno roteare gli occhi, una buona metà sono passabili ma non memorabili.
THE MASTERMIND (su un disoccupato che si fa passare per esperto d’arte) e lo svedese EAGLES OF THE REPUBLIC (su un divo del cinema egiziano che accetta di girare un film di propaganda, innamorandosi però della moglie di un generale al potere) sono, nel loro genere, promettenti. Ed essere promettenti, per una sinossi, significa superare l’asticella.
Ma dalla selezione del Festival cinematografico più importante del mondo mi aspetterei qualcosa di più, mi aspetterei delle sinossi in grado di suscitare una sana invidia autoriale. Qualcosa che mi faccia arrabbiare per non averci pensato io, a quella storia.
Quest’anno c’è un solo film in concorso la cui sinossi mi faccia intravedere davvero un ottimo potenziale. Una sola sinossi che abbia al centro un conflitto ben impostato, dei temi universali affrontati da un’angolatura originale, dei personaggi promettenti alle prese con una posta in gioco rilevante e aventi innanzi a loro un arco di cambiamento potenzialmente interessante.
Il film a cui mi riferisco è il norvegese Affeksjonsverdi (il titolo internazionale è Sentimental Value, quello italiano non è ancora noto) di Joachim Trier (“La persona peggiore del mondo”, in concorso a Cannes nel 2021).
Ecco la breve sinossi del film, che sarà proiettato il 21 Maggio:
In lutto per la morte della madre, l’acclamata attrice teatrale Nora assiste, insieme alla sorella minore Agnes, al ritorno dell’eccentrico padre Gustav, un tempo rinomato regista, con cui le due sorelle avevano perso i rapporti. Impegnato nel progetto cinematografico che dovrebbe segnarne il rilancio, Gustav cerca di fare pace con Nora offrendole il ruolo principale nel film, ma lei rifiuta categoricamente, non volendo avere niente a che fare con lui. L’arrivo in città di una famosa attrice americana coinvolta nel film di Gustav complica ulteriormente le dinamiche familiari.
Le informazioni sulla storia non sono tantissime, ma gli ingredienti appaiono subito quelli giusti per costruire un dramma molto solido, attraversando i temi del lutto, dei ricordi, delle cicatrici del passato, del ruolo dell’arte come strumento di riconciliazione, con l’aggiunta di alcuni dettagli ironici ben calibrati.
Solo dopo averne apprezzato questi elementi, le mie aspettative vengono accresciute anche dalla fiducia negli autori e nel cast (l’attrice protagonista, Renate Reinsve, è molto brava ed è stata premiata proprio a Cannes quattro anni fa), e nella loro capacità di estrarre il meglio da questo materiale di partenza.
La mia Palma d’oro in anticipo va quindi ad Affeksjonsverdi (Sentimental Value) di Joachim Trier. Al confronto, quella di Juliette Binoche in ritardo è tutto sommato irrilevante.