Quando scriviamo una sceneggiatura dovremmo sempre porci due obiettivi:
descrivere un mondo
raccontare una storia
Entrambi gli obiettivi sono importanti, entrambi sono difficili da centrare alla perfezione. Partiamo dal primo: descrivere un mondo. Pensate a tutti quei film in cui i protagonisti sono dei medici, dei poliziotti, degli avvocati, ma le scene in cui sono inseriti non riescono a trasmettere la sensazione di essere in un vero ospedale, in una vera stazione di polizia, in un vero studio legale; quei film non ci insegnano niente riguardo alle peculiarità e alle dinamiche di quei mondi.
Questo problema vale per l’ambientazione e vale anche per la rappresentazione dei rapporti tra i personaggi. Se al centro della vostra sceneggiatura c’è una relazione sentimentale, dovrete renderla credibile, dovrete rappresentare efficacemente e realisticamente le motivazioni, le azioni e reazioni dei personaggi. Per riuscirci servono grandi capacità di osservazione e di analisi dei comportamenti.
A volte non è così importante azzeccare i dettagli dell’ambientazione quanto cogliere l’essenza o lo spirito di un mondo. Molti film di Fellini riescono a descrivere con successo degli universi usando la creatività e senza essere didascalici (La Dolce vita, Amarcord). Ma in generale la verità della rappresentazione è premiante. Pensate ai film di Mike Leigh e James Ivory, a come la loro capacità di inserire i personaggi in dei contesti sociali accuratamente rappresentati renda memorabile i loro lavori.
Raccontare una storia, il secondo obiettivo, è altrettanto importante. Saper impostare, strutturare, organizzare il racconto è un’arte a sé. Selezionare e sviluppare un’idea centrale efficace, curare l’evoluzione dei personaggi e dei rapporti tra di loro, intrecciare con successo le varie trame della storia, dare ritmo e direzione al racconto, curare il rapporto di causa/effetto tra le varie sequenze, restare sempre un passo avanti al lettore, riuscire a rendere il finale coerente e inaspettato allo stesso tempo. Queste sono le sfide di una racconto efficace.
I capitoli 3, 4 e 5 del Manuale pratico di sceneggiatura (in regalo con l’iscrizione alla versione gratuita di questa newsletter) affrontano questi temi.
Ora, la domanda è: centrare uno solo di questi due obiettivi, e fare giusto il minimo sindacale sull’altro fronte, è sufficiente?
Qui occorre una piccola premessa. Eccellere in qualcosa, anche in un dettaglio, è già un’impresa degna di nota. Centrare in pieno uno dei due obiettivi (la descrizione del mondo, l’esecuzione del racconto) e cavarsela con il secondo è già un buon risultato. Pensate a quei discussi film europei di Woody Allen, ad esempio Vicky Cristina Barcelona. Giunti ai titoli finali non abbiamo imparato niente sulla Spagna, la cui rappresentazione è piuttosto pigra, ma le interazioni tra i quattro personaggi principali resteranno nella nostra memoria. Sono 90 minuti ben spesi per il pubblico. È una buona sceneggiatura.
A volte, invece, è la storia raccontata a essere pigra, ma il mondo descritto è così unico e memorabile che la descrizione di quel contesto vale da sola il biglietto.
Il film La zona d’interesse rientra in questa categoria. Non succede granché nella sceneggiatura, a livello di drammatizzazione, ma lo sfondo (la vita rilassata e indifferente della famiglia del comandante del campo di concentramento di Auschwitz, in una villetta a pochi passi dal filo spinato) è talmente raggelante che è impossibile distogliere lo sguardo. Anche qui, una missione compiuta giustifica l’intero film.
Epperò, sono eccezioni. Quando iniziamo a scrivere, dobbiamo perseguire entrambi gli obiettivi. Che poi è anche la strategia migliore per sperare di centrarne almeno uno.
Ieri sera guardavo Singles, una commedia romantica corale di Cameron Crowe, uscita nel 1992. Nel film ci sono alcune piccole buone idee di scrittura, ma nel complesso nessuna delle varie trame è particolarmente riuscita o memorabile. Ciò che rende il film interessante, 33 anni dopo la sua produzione, è l’aver messo su pellicola alcuni frammenti del panorama urbano (e del panorama musicale) di Seattle in quel brevissimo lasso di tempo in cui Seattle, la città di Bill Gates e Kurt Cobain, è stata a suo modo il centro del mondo. La rappresentazione di quell’universo, e soprattutto il tempismo di quella rappresentazione, redimono un film altrimenti banale e dimenticabile.
Otto anni dopo aver girato quel film, Cameron Crowe girerà Almost famous, la storia di un giovanissimo giornalista musicale che segue il tour di un gruppo rock degli anni ‘70. È un film nel quale l’universo della storia (obiettivo 1) è descritto con grande efficacia e abilità1; e in cui al contempo il racconto (obiettivo 2) è costruito magistralmente. Un grande film.
È quando entrambi gli obiettivi vengono centrati che avviene la magia.
Del resto, qual è il film italiano più studiato nelle scuole di cinema di tutto il mondo?
Ladri di biciclette.
Un film che è sia uno spaccato perfetto dell’Italia dell’immediato dopoguerra (obiettivo 1), sia una storia perfetta nella sua idea di base, nella sua essenzialità, nel suo sviluppo, nella sua conclusione (obiettivo 2).
L’equivalente dell’avere due frecce al proprio arco e piantarle entrambe nel cerchietto nero al centro del bersaglio.
È del resto una storia semi-autobiografica.